Cosa significa il nome Ghiyath al-Din Abu’l-Fath Umar ibn Ibrahim Al-Nishapuri al-Khayyami?
- Ghiyath al-Din – significa conoscenza del Corano.
- Abu’l-Fath Umar ibn Ibrahim – “Abu – padre”, “Fath – conquistatore”, “Umar – vita”, “Ibrahim – il nome del padre”.
- Khayyami – nomignolo “tenda guidata”
- Nishapuri – città natale
Omar Khayyām (1048 – c.1131) era nato a Naishapur in Khorassan, Persia del Nord. I versi qui presentati (quartine di linea, o rubaiyat) sono a lui attribuiti, ma non è chiaro quanti siano stati da lui composti. Uno dei più antichi manoscritti, l’Ouseley della Bodleian Library di Oxford che è stato utilizzato da Fitzgerald per la sua traduzione, risale al 1461 Il Rubaiyat di Omar Khayyām è tra i pochi capolavori poetici tradotti in più lingue, tra cui inglese, francese, tedesco, italiano, russo, cinese, hindi, arabo. Omar Khayyām, per i sui trattati di aritmetica, di algebra e di musica, a venticinque anni era già famoso. Nel 1070 si trasferì a Samarcanda dove, sotto la protezione del giurista Abū Tāhir, scrisse il Trattato sulla dimostrazione dei problemi di algebra, il suo libro più noto. Nel 1073 Shah Jalāl al-Dīn Malikshāh il Selgiuchide lo imandò ad Isfahān, per fondarvi un osservatorio astronomico. Per 18 anni Khayyām si dedicò alla compilazione di tavole astronomiche e alla riforma del calendario, completata nel 1079, anno in cui inizia la cosiddetta èra Jalālī. Il calendario di Omar Khayyām, nella previsione della lunghezza dell’anno astronomico, è più preciso di quello giuliano e anche del posteriore calendario gregoriano. Quando il visir Niām al-Mulk fu ucciso dai seguaci della setta ismailita degli “Assassini”, guidati da Hasan-e Sabbah, il famoso “Veglio della Montagna”, mancarono i finanziamenti per l’osservatorio e la riforma del calendario si interruppe, anche perché il lavoro scientifico di Omar Khayyām non piaceva ai musulmani sunniti che lo giudicavano non conforme alla fede. Nel 1118 Sanjar si impadronì dell’intero Impero Selgiuchide, fondò a Merv un centro di studi e qui invitò Omar Khayyām a proseguire i suoi studi.
Omar Khayyām era un razionalista, un epicureo: adorava il profumo delle rose e annegava nel vino e nell’amore ogni sua disillusione. Le fonti arabo-persiane ne parlano come di un genio della matematica, della astronomia, della filosofia e della teologia; ma lo descrivono anche come un uomo scontroso e geloso del suo sapere. Le sue quartine, o rubaiyat, sono luminose, dolci e gioiose; eppure pervase da profonda trisrtezza. La traduzione di Mario Chini, la prima in italiano, uscì nella famosa collezione Scrittori italiani e stranieri che si vendeva ad un prezzo popolare.
Rubâiyat di Omar Khayyâm
Secondo la lezione di Edoardo Fitzgerald
Traduzione di Mario Chini
Lanciano, Carabba Editore, 1916
Strofa 1
Svegliati! poi che il sole che già dal campo della
tenebra ha messo in fuga dinanzi a sé ogni stella,
la notte, ormai, caccia dal cielo, e folgora
la torre del sultano con lucenti quadrella.
Strofa 2
Mentre durava il falso lume crepuscolare,
dalla taverna intesi, o mi parve, gridare:
– Perché, se nell’interno il tempio è all’ordine,
sonnecchiano i fedeli pigri sul limitare?
Strofa 12
Oh un libro di canzoni, oh una coppa di vino,
oh una forma di pane, e te, amor mio, vicino
a me, a cantare nella solitudine…
Solitudine, bene veramente divino!
Strofa 21
Bellezza mia, ricolma oggi i nostri bicchieri,
e tacciano i rimpianti del passato, i pensieri
dell’avvenire… Domani? Io sarò cenere,
forse, coi settemila anni finiti ieri.
Strofa 25
Per l’uom che pensa all’oggi, come per l’uom che corre
colla mente al domani, dall’alto delle torre
dell’ombra, un muezzin proclama: – O stolidi,
voi non dovete il premio né qua né là riporre.
Strofa 27
Anch’io, quand’ero giovine, ho sovente ascoltato
santi e dottori: ho i loro argomenti ammirato:
ma sono uscito poi dalla medesima,
dall’identica porta per la quale ero entrato.
Strofa 41
Né più incertezze intorno all’umano e al divino
sperda il vento le cure del dimani vicino;
le dita lente fra le chiome indugino
del cipresso elegante che somministra il vino.
Strofa 45
Il corpo è padiglione per un sol dì occupato
da un sultano al reame della morte avviato.
Parte: e il nero ferrâsh lo abbatte subito,
e lo tiene in riserva per un altro arrivato.
Strofa 46
Non dubitate affatto che l’esistenza, quando
ha chiuso i nostri conti, posi la penna, oziando.
L’eterno Sâki versò giù dall’anfora
stessa altre schiume simili, altre ne sta versando.
Strofa 47
Poi che ognuno di noi sia dietro il velo entrato,
per molto tempo ancora sussisterà il creato,
curandosi di noi quanto si curano
gli oceani d’un sasso negli abissi gettato.
Strofa 65
E le rivelazioni de’ più illustri veggenti,
che vennero tenute per profetici accenti,
sono ubbie, che, svegliati, essi contarono
a’ lor simili… Quindi tornaron fra i dormienti.
Strofa 90
Mentre i vasi parlavano fra di loro, bel bello,
la prima luna entrava; ed i vasi: – Fratello,
dissero urtando l’un con l’altro, vengono!
Sulle spalle il facchino ha un peso… un caratello!
Strofa 94
In verità, più volte di pentirmi ho giurato,
ma sempre, se non erro, quando avevo trincato.
La primavera poi, con la man rosea,
strappava il mio rimorso come un vestito usato.
Strofa 101
Ma tu, quando com’essa, ti aggirerai, coppiere,
tra gli ospiti, adagiati sopra l’erba per bere,
arrivato a quel posto ov’ero solito
sedermi, per memoria, capovolgi il bicchiere!